di Gioele Anni
Si può parlare di lavoro ed Europa con lo sguardo rivolto ai desideri? Sembrerebbe di no, stando alle cronache: giornali e tv presentano un mercato precario, e un continente bloccato dai vincoli economici più che proteso ai grandi ideali. Ma è una lettura troppo riduttiva del complesso rapporto tra “Giovani, lavoro ed Europa”, il tema del secondo incontro annuale della scuola di formazione politica d’ispirazione cattolica “Pensare Politicamente”. E prima di soffermarsi su lavoro ed Europa con gli interventi dei professori Leonardo Becchetti e Michele Faioli, i giovani delle presidenze nazionali hanno riflettuto proprio sul senso del desiderio con questa riflessione di padre Francesco Occhetta: «Il desiderio è un’esperienza di unificazione tra intelletto, affetto e volontà. Il desiderio accende qualcosa, genera movimento, porta scompiglio nella vita…eppure, coltivando il desiderio, si provano pace e armonia. È diverso dal bisogno, che muta nel tempo e si estingue: anzi il desiderio cresce col tempo, e non interpella una parte della persona ma la sua totalità».
Proprio dalla positività intrinseca dei desideri si avvia la riflessione di Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’università Tor Vergata: «Scegliere il lavoro guardando solo allo stipendio è il primo passo verso l’infelicità. Ci sono altri fattori da considerare, uno su tutti: il tuo lavoro è orientato a un fine buono? La prima regola è stare dalla parte del bene». Una riflessione ampia, quella del professor Becchetti, che identifica i mali dell’attuale sistema del lavoro in tre vizi correlati: la conversione della persona in homo oeconomicus, che ha a cuore solo la posizione nel mercato e non le relazioni; l’equazione secondo la quale il valore di un’attività è uguale al PIL generato, senza tenere conto del benessere complessivo di chi lavora; la ricerca da parte delle organizzazioni produttive di una massimizzazione del profitto, e non piuttosto di una equa ripartizione dei profitti stessi. Chi si avvicina al mondo del lavoro, invece, deve prima di tutto sapere che «la gavetta sarà lunga e dura»; ma deve anche impegnarsi per «risalire la scala dei talenti», cioè curare una formazione eccellente; occorre poi saper offrire al mercato dei «prodotti con vantaggi non delocalizzabili», cioè risorse uniche che sfruttano il genius loci proprio di una determinata area locale: un’eccellenza tecnologica, una risorsa artistica, una caratteristica del paesaggio. Gli esempi sono Alex Zanardi, che «ha saputo trasformare i vincoli in opportunità: in fondo la vita è una corsa ad handicap progressivi, se non altro perché il tempo avanza per tutti»; oppure Anna Frank, che guarda al mondo con speranza anche nei momenti più bui; o ancora Jiro Ono, il novantenne guru del sushi, che ha dedicato tutta la vita al suo talento.
Se il professor Becchetti ha tracciato il punto d’incontro tra desiderio e mercato, il professor Faioli, docente di Diritto del lavoro sempre a Tor Vergata, cala il discorso nel contesto attuale dell’Unione Europea. «Spesso ci concentriamo sulla crisi pensando in termini quantitativi, ma in realtà il problema del lavoro oggi è soprattutto qualitativo. La risposta a tale situazione è un investimento in termini di formazione permanente, dal momento che la formazione sarà l’articolo 18 del futuro; e una scommessa su quei lavori che mettono in moto l’imprenditorialità dei giovani, che puntano sulla creatività e che generano socialità. L’Unione Europea ha compreso questi orientamenti del mercato, e ha risposto con un piano massivo ricco di opportunità per le giovani generazioni». La job-creation, oggi, passa nelle intenzioni dell’UE da un processo definito nella sigla “smart and start-up”: i programmi dell’Unione sostengono quei progetti basati sul talento, nati anche al di fuori dei contesti canonici del mercato del lavoro e generati persino in assenza di competenze certificate. Sono attività che seguono di solito i processi di «uberizzazione» del lavoro, ovvero risposte individualizzate ai bisogni del mercato: i progetti europei si propongono di stabilizzarle e renderle sistematiche. I programmi europei di riferimento per i giovani innovatori sono ad esempio Horizon 2020, COSME, LIFE, mentre in Italia è stato avviato il programma “Smart Start”: il prof. Faioli ne offre un prezioso riassunto in queste slides. Perché possa funzionare, una visione oggettivamente ambiziosa dovrà sostanziarsi in ecosistemi ben costituiti nei vari contesti nazionali: dunque occorreranno organizzazioni imprenditoriali dinamiche; università ricettive che stimolino maggiormente la creatività; e percorsi di apprendistato efficaci a partire dalle scuole superiori.
Insomma, la strada è tracciata e scommette sulla creatività dei giovani. Se, come cantava Ligabue, «sono sempre i sogni a dare forma al mondo», è ora di mettersi in cammino. Il percorso di Pensare Politicamente riprende invece tra un mese: il 28 marzo, per il terzo appuntamento, interverranno padre Francesco Occhetta – stavolta nei panni di relatore – e padre Paolo Benanti. Tema: “La politica bloccata dai temi del post-umanesimo”. Come sempre sarà possibile seguire l’incontro in streaming e sui social network tramite l’hashtag #FormPol.
Ecco gli strumenti di lavoro di questo incontro e il video completo dell’evento:
- Introduzione e Traccia di lavoro (di padre Francesco Occhetta)
- La bussola della vita: il desiderio (di padre Francesco Occhetta)
- Smart e Start – Occupabilità giovanile e imprenditorialità innovativa (di Michele Faioli, Univ. Tor Vergata)
- Registrazione video dell’incontro su YouTube
- Registrazione video dell’incontro su livestream